PSICOLOGIA IN ORTODONZIA

Aspetti psicologici legati all'ortodonzia - la malocclusione può essere un importante fattore nella genesi dello stress.

Inconsciamente il nostro comportamento è sempre teso a difendere, mantenere o aumentare il nostro senso di autostima. L'autostima dipende molto dal giudizio degli altri, perche solamente attraverso il confronto possiamo misurare il nostro valore.

Tutti noi siamo portati ad associare determinati aspetti e condizioni fisiche ad una data personalità.

Da uno studio condotto nel 1956 da Secord emergeva che i soggetti con i denti meglio allineati apparivano agli altri come sinceri, intelligenti, genericamente migliori. Il buon allineamento associato alla protrusione degli incisivi superiori dava l'impressione di capacità di dialogo e generica attitudine alla supremazia, il mento evocava specifiche personalità e, in genere il grado di regolarità della dentatura era correlato linearmente agli attributi di cordialità, bella presenza e intelligenza.

Volendo semplificare e riassumere, è un po il concetto che quanto è bello è anche buono. Concetto senza dubbio superficiale ed errato, eppur presente in tutta la narrativa a partire dalle fiabe, per finire ai serial televisivi. La malocclusione può essere un importante fattore nella genesi dello stress.

Secondo Mc Gregor (1951), lo stress generato da una qualsivoglia deformità non sarebbe proporzionale alla gravità della stessa. Un individuo gravemente deforme è certo di suscitare sempre una reazione sfavorevole in chi gli sta di fronte, invece i soggetti affetti da una lieve imperfezione evocano reazioni negative incostantemente: ciò si traduce in una variabilità estrema del giudizio altrui, che conduce infine ad uno stato di ansia.

La zona intorno la bocca è strettamente connessa all' immagine di se ed è fortemente investita dal punto di vista emozionale. Generalmente, più la malformazione è vicina all'organo deputato alla comunicazione (bocca, occhi), più appare evidente a chi ascolta, causandogli spesso un senso di disagio.

Il desiderio di migliorare la propria immagine è sempre collegato anche al voler "scalare" livelli sociali superiori. Per meglio comprendere questo concetto posiamo rifarci alla ormai classica rappresentazione della piramide di Maslow. La piramide è formata da cinque strati sovrapposti, gli strati inferiori sono di supporto ai superiori, come appunto una piramide di mattoni.

I cinque piani sono:

  • Bisogni di base (mangiare, bere, dormire)
  • Sicurezza, protezione (casa, conto in banca)
  • Bisogni sociali (famiglia, clan, club, ditta)
  • Autorealizzazione
  • Bisogni dell'Io (riconoscimento, status, potere)

Ogni uomo necessita dei primi tre livelli, mentre non tutti riescono a raggiungere il quinto livello quello dell'autorealizzazione. Analogamente ad un videogame, i livelli superiori ci interessano solamente se abbiamo già conquistato una solida base, e qualora qualcosa intaccasse un livello inferiore la nostra attenzione si concentrerebbe sulla difesa degli strati bassi, tralasciando momentaneamente i livelli più alti. Il bambino inserito nella società che lo circonda, quella della famiglia, dei coetanei, della scuola si trova sul terzo livello ed aspira al quarto che raggiunge quando riceve una lode od una carezza. Viceversa il bambino con dei problemi di inserimento o di accettazione da parte della società, perche deriso per il proprio aspetto, non ricerca il riconoscimento del proprio valore (quarto livello) perche deve prima consolidare i propri bisogni sociali nella famiglia, e con i suoi coetanei.

Concludendo l'aspetto estetico è strettamente vincolato con l'autostima e con tutte le nostre relazioni sociali, pertanto il miglioramento che ne otteniamo sul piano estetico si trasmetterà immancabilmente anche su quello psicologico, e personalogico. Ed è proprio il raggiungimento di tali obiettivi che rappresenta per l'ortodontista, cosi come per il chirurgo plastico, l'autorealizzazione ovvero la vetta dellla piramide di Maslow, alla quale tutti aspiriamo.

Grande contributo a questa consapevolezza è stato dato anche dall'opera “Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman, ed. Bur 1999. Daniel Goleman chiarisce i rapporti intercorrenti fra mente razionale e mente emotiva. Entrambi le componenti dell’intelligenza (intellettiva ed emozionale) sono fondamentali per lo sviluppo di un individuo sano , psicologicamente equilibrato, socialmente competente, capace di successo nelle relazioni affettive e nel lavoro. I sentimenti infatti sono indispensabili nei processi decisori della mente razionale; essi ci orientano nella giusta direzione, dove poi la logica si dimostra utilissima. La zona del nostro sistema nervoso deputata al controllo delle emozioni è il sistema limbico. Filogeneticamente parlando il sistema limbico è stata la prima zona cerebrale a svilupparsi nei mammiferi; solo in seguito, e partendo da questa zona, si è formata la neocorteccia che tutt’oggi è l’area cerebrale deputata ai processi di pensiero. Essa contiene i centri che integrano e comprendono quanto viene percepito dai sensi, aggiunge ai sentimenti ciò che pensiamo di essi, è capace di ideare programmi a lungo termine e di escogitare strategie cognitive. Nei primati, soprattutto nell’uomo, il rapporto fra neocorteccia e sistema limbico è potenziato rispetto alle altre specie, ovvero disponiamo di un numero maggiore di interconnessioni cerebrali fra i due sistemi, che ci permette di avere un’ampissima gamma di risposte emozionali e dunque un’evoluta competenza emotiva. Ma in cosa consiste l’intelligenza emotiva? 

Gleman la identifica in 5 abilità principali:

  1. Autoconsapevolezza delle proprie emozioni, ovvero la capacità di riconoscere un sentimento nel momento stesso in cui si presenta;
  2. Controllo delle emozioni in modo che esse siano appropriate;
  3. Motivazione di se stessi, ovvero la capacità di dominare le emozioni per raggiungere un obiettivo;
  4. Riconoscimento delle emozioni altrui o empatia; Gestione delle relazioni. Diversi studi hanno dimostrato che un QI elevato, da solo, non è assolutamente garanzia di prosperità, prestigio o felicità nella vita.

Goleman sottolinea che, ai fini del nostro destino personale, ovvero della capacità di avere successo e gratificazioni nella vita, ciò che fa la differenza non è tanto il livello intellettivo quanto l’intelligenza emotiva maturata durante l’infanzia. La gestione degli elementi fondamentali dell’intelligenza emotiva ci viene insegnata (o non insegnata!) da bambini all’interno delle relazioni significative con genitori, parenti, insegnanti, amici, ecc… Soprattutto gli insegnamenti emozionali che apprendiamo a casa da piccoli plasmano in maniera sorprendente i nostri circuiti emozionali rendendoci in futuro più o meno dotati di intelligenza emotiva. Per esempio, un genitore che non riesca ad empatizzare con una particolare gamma di emozioni del bambino, come la rabbia o la paura, e che tenti di scoraggiarne la loro manifestazione, produce un apprendimento evitante nel figlio il quale eviterà di esprimere quelle emozioni e, col tempo, potrebbe anche smettere di provarle. In questo modo presumibilmente molte emozioni cominciano ad essere cancellate dal repertorio delle relazioni intime. Questo non significa che non si possa riparare a un carente sviluppo di intelligenza emotiva; nelle cosiddette relazioni “riparative”, con gli amici, i partner o, con lo psicoterapeuta, il modo di relazionarsi dell’individuo viene continuamente rimodellato; uno squilibrio insorto a un certo punto della vita può essere corretto più tardi, in un processo continuo che dura tutta la vita. Goleman, accusando l’assistenza sanitaria moderna di trascurare il ruolo dell’intelligenza emotiva, sottolinea come lo stato emotivo del paziente possa giocare un ruolo significativo nella vulnerabilità dell’individuo alla malattia e nel decorso della convalescenza. Oggi si può dimostrare scientificamente che curando lo stato emotivo degli individui insieme alla loro condizione fisica è possibile ritagliare un margine di efficacia in termini medici, sia a livello di prevenzione che di trattamento. Ciò significa che: 1. Aiutare gli individui a gestire meglio i sentimenti negativi è una forma di prevenzione; 2. Quando gli aspetti psicologici di un paziente sono trattati parallelamente agli aspetti fisici della sua malattia, la probabilità di risultati positivi anche sul piano fisico aumenta.

Bibliografia:
SECORD P.F., BACKMANN C.W.: Malocclusion and psycological factors. Am. J. Dent. Ass., 59:931-938, 1959
GOLEMAN D., Inteligenza Emotiva, casa Ed. Bur, 1999

In quel sorriso c’era il senso di tutto quello che stavo cercando.
Alessandro D'Avenia

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